Iacopo Fo e l'ipocrisia della morte

Iacopo Fo: "ora lo celebrano, in vita fu censurato e ignorato".
Dinnanzi alla morte va sempre in scena il grande spettacolo dell'ipocrisia. Tutti apprezzano, molti hanno solo dolci ricordi, pochi hanno il coraggio della coerenza.
Provo a farlo io:  signor Iacopo non ho mai amato Dario Fo, lo dico in tutta onestà, senza particolare antipatia o altro sentimento negativo.
Non ho mai apprezzato l'uomo: il "rastrellatore" di Salò, così ha accertato una sentenza di fine anni 70, mai impugnata, emessa da un giudice in seguito alla querela per calunnia fatta dall'autore nei confronti di chi aveva riesumato il suo passato. Tantomeno il fondatore "di soccorso rosso" presso cui trovavano accoglienza molti soggetti vicini al terrorismo di sinistra.
Non ho nemmeno mai apprezzato il politico: lui apparteneva a quella sinistra dei presunti "maitre a penser", l'intellighenzia" da me detestata sin da ragazzo. La sua costante e perenne posizione di rivoluzionario a prescindere, fino alla deriva grillina. Sono in buona compagnia, visto che nel 2006 per l'elezione a sindaco della città meneghina, unica occasione della sua vita di "giullare", in cui è sceso dal palco per tuffarsi nell'agone politico, i milanesi l'hanno premiato con un misero 2,12%.
Mi ha strappato, infine, parvi applausi nella sua carriera di attore. Qui forse vi è un limite mio, non sono riuscito a cogliere molto del suo "Grammelot", lo riconosco, pur riconoscendo una gestualità fuori dal comune. 
E così caro signor Iacopo, ecco qualcuno che ha il coraggio di dirlo chiaramente: suo padre non mi piaceva.
Dopo questa breve invettiva contro la sua esternazione, in cui sottolineo il mio rammarico per non aver apprezzato la grandezza del Fo attore/autore, invece intravedo la sua difficoltà a discernere l'ammirazione incontrastata alla quale forse negli ambienti che ha frequentato era abituato, dal sentimento di rispetto della morte e della "pietas", che nell'accezione cristiana, questa si, è per lei una materia sconosciuta.

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